Lara Scelus, la donna che aveva conquistato Hogwarts, la donna che aveva costretto il Ministero della Magia a censurare la presa della scuola, la donna che stava cercando l’erede in quell’epoca, la donna con il cuore a pezzi e piena di ira e di rancore, la donna che ora, nel suo caldo letto non riusciva a dormire. Gli occhi freddi, sbarrati, puntati sul soffitto del baldacchino. Erano ore che si era sdraiata ed erano ore che non riusciva a prendere sonno, si sentiva agitata, come se qualcosa di importante stesse per succedere o era appena successo. Lo chiamavano sesto senso da lupi, da animali, da creature della notte, ma in ogni caso la sensazione era sempre la stessa. In un primo momento si era girata e rigirata nel giaciglio cercando la posizione più comoda, ma era giunta alla triste conclusione che il lato su cui dormiva non contava. Sentiva di dover scappare, voleva gettarsi fuori dalla finestra e smaterializzarsi fino alla “modesta” dimora sui colli Romani dove certamente avrebbe trovato un po’ di pace. Ma era anche insicura: non poteva lasciare la Hogwarts appena conquistata, non aveva ancora un braccio destro che potesse tenere la situazione sotto controllo se ci fosse stata una rivolta; ella doveva restare lì, inchiodata nella sua stanza pronta a combattere. Anche se mossa dall’ansia riusciva comunque a pensare a Pound e agli ultimi avvenimenti. Era la prima volta nella sua vita ad essere stata sconvolta, sconvolta nel profondo, quasi ferita. Già la morte del compagno era stato un duro colpo, i due avevano sempre saputo che in ciò che facevano c’era un alto rischio di fallimento, era sempre stati consci che la morte era in agguato, ma mai avevano pensato che uno sarebbe rimasto in vita, mentre l’altro l’avrebbe persa. Mai. Era un pensiero che non gli era passato nemmeno nell’anticamera del cervello eppure, eppure era successo. E Lara sapeva che se fosse stato il contrario per Pound sarebbe stato più facile superare la cosa, avrebbe reagito meglio, non sarebbe stato tanto a piangere sul suo corpo freddo, sulla sua tomba di marmo, non aveva versato neppure una lacrima sul corpo del Nonno ed ella non poteva aspirare ad essere nemmeno la metà di quello che aveva significato per lui il capostipite. In più aveva scoperto che la tomba era stata profanata, che qualche zotico mezzosangue aveva estratto il cadavere e portato via senza apparente spiegazione. L’indignazione, l’ira di una nobile purosangue si era scatenata. Aveva rimandato l’apertura di Hogwarts di un mese, in modo da cercare ogni indizio che la portasse al profanatore per poterlo cruciare per benino. Eppure fino a quel momento non era giunta a nulla, non un sussurro, non un alito di vento in quell’epoca l’aveva aiutata, l’aveva messa sulla buona strada. E in quella notte, in quella notte in cui grosse gocce di pioggia picchiavano sul vetro e il vento ululava e s’infiltrava negli spifferi dell’antico castello non riusciva a far altro che fissare con gli occhi di ghiaccio il soffitto. Aveva mille problemi a partire dal corpo docenti di Hogwarts, al modo per cambiare la storia, trovare l’erede, i doni, la ricerca dei doni, ma non riusciva a far altro che pensare a quello che era stato, quel breve frammento vissuto con il Lord. Il Parricidio, il Parricidio a casa Pound, quel contatto inaspettato, quella mano rassicurante tra le sue dita e poi subito rimembrava l’immagine del corpo, del corpo freddo da ore, la mano incenerita, l’ardemonio che aveva devastato ogni cosa. E amava mettere il coltello nella piaga, soffrire, amava soffrire. Dicono che le uniche cose che non si dimenticano sono quelle che ti hanno fatto più male. Ella non avrebbe scordato. Ad un tratto, in un momento di calma della tempesta sentì picchiettare alla sua finestra. La donna si alzò di scatto con i nervi tutt’un fascio: chi le poteva mai scrivere in un mondo così ostile? Andò alla finestra, catapultandosi alla velocità della luce, ma non ci trovò un gufo ad aspettarla, non vide nulla. Probabilmente se l’era immaginato. Tornò a letto fissando incantata le braci del camino ormai spento, rabbrividendo nella sottile camicia da notte di seta. Si stava per sdraiare un’altra volta sotto il caldo piumone ma sentì nuovamente un picchiettio sul vetro, stavolta un pochino più forte. Con calma, osservano con lo sguardo d’acciaio il punto da cui veniva il rumore, si avvicinò. Come per la prima volta non vide niente, ma poi, illuminato dalla luce di un fulmine notò uno spaventoso essere corvino, che continuava a battere maligno il vetro con un adunco becco. Creatura repellente, un occhio iniettato di sangue che faceva venire i brividi; avrebbe preferito di gran lunga non aprigli e aspettare che se ne andasse ma non era una pavida né una stupida, poteva avere informazioni importanti dato che portava un foglio di pergamena. Lentamente fece girare la maniglia e aprì un piccolo spiraglio in modo che entrasse; una spruzzata d’acqua arrivò con la creatura raccapricciante che le bagnò il braccio e il fianco sinistro. L’ignorò. Il Corvo si scrollò un po’ d’acqua di dosso e poi le porse il messaggio. Ti sto aspettando. Sussurrò leggendo. Pound, Pound, POUND!!! Fu il suo primo pensiero, ma poi l’entusiasmo del primo momento crollò vedendo che la creatura le indicava anche un’altra cosa: una ciocca di corvini capelli, banale a vedersi, ma lei sapeva fin troppo bene a chi era appartenuta. Dove mi sta aspettando il tuo vile padrone? Si rivolse gelida, con tono minaccioso verso il corvo. Questo si avvicinò alle ultime braci del camino, ignorandola, non dando segno di volerla aiutare. Era presa dall’ira, da un fuoco che come l’ardemonio le bruciava dentro, che traspariva nel suo sguardo e che si tramutò in un lampo di luce verde Avada Kedavra! La creatura rimase a terra stecchita e la frustrazione della strega per un attimo si calmò, le si dipinse un sorriso gaio e giocondo in volto e sussurrò tra se Quanta soddisfazione danno le Maledizioni Senza Perdono quando sono desiderate ardentemente … Poi si diresse nella sua cabina armadio cercando alla rinfusa qualcosa di adatto da mettersi. Alla fine optò per un paio di pantaloni di pelle nera da Quidditch rigorosamente impermeabili e attillati. Nei piedi un paio di tacchi alti rossi, i suoi preferiti e infine, sopra ad una semplice dolcevita nera una mantella del medesimo colore delle scarpe. Un trucco leggero sul volto, si tirò su il vermiglio cappuccio e uscita dalla mura magiche si smaterializzò. Dove era diretta? Cimitero dei Maghi dove anni dopo sarebbero state costruite le tombe di famiglia dei Pound. Era l’unico luogo che le pareva sensato, che riconducesse il Lord alla morte. In un attimo fu al cancello di ferro d’ingresso, una mano bianca come il latte lo aprì e si ritrovò in un cimitero di lapidi. Che posticino allegro eh pensò mentre si faceva strada tra i marmi grigi. La pioggia continuava incessantemente a picchiare furente, sul suo cappuccio, sul suo cereo volto, sui suoi pantaloni e sui tacchi laccati. Aveva paura, certo che aveva paura, ad ogni passo impugnava più forte la bacchetta di Biancospino, sentiva i nervi tesi, contratti, pronti a scattare al primo movimento. Non riusciva però a bloccare le proprie gambe, che le sembrava andassero da sole verso una menta indefinita. Niente panico, calma e sangue freddo. Svuotò la mente, l’anatema che uccide pronto sulla punta della lingua. Vide in lontananza una figura sotto il temporale, una figura scura e incappucciata che le dava le spalle. Scagliò il cadavere dell’uccello a pochi metri dall’uomo e con tono provocatorio, mentre i suoi occhi ardevano di luce propria domandò: Allora?
Edited by DDM Staff - 17/10/2011, 15:43